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duecento ottanta giorni

  • 24 Settembre 2015
  • By elise
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duecento ottanta giorni

Due cento ottanta giorni. Quaranta settimane. Nove mesi. Tutti in un battito di ciglia. E’ successo così. Stamattina dopo un battito di ciglia, un tremolio all’occhio, un accenno di stanchezza, mi sono accorta che ci siamo.

 

Si che ci siamo. Giunti alla fine. Alla quasi fine.

E sì, lo so, mi ripeto. Mi ripeto parecchio ultimamente  (ancora). Un po’ come la storia della borsa dell’ospedale. Che, per vostra informazione, non è del tutto pronta.

Mah sì…  viviamo così, al secondo. Prendiamo rischi… Me lo vedo, Lui, che rovista nei cassetti per portarmi quello che manca. Se non fosse così altamente pericoloso forse lo farei.

Ma poi rischierei di girare in reparto agghindata con un vestito con paillettes, un jeans strappato, una camicia hawaiana e una t-shirt con una scritta di dubbio gusto. Evitiamo dai.

In una sola settimana ho vissuto un inserimento, la VFNO, l’inizio della fashion week, l’inizio del nono mese, e un giro da Disney Store con una piccola treenne scatenata.

Mancano quattro giorni al  mio compleanno e io me ne ero completamente dimenticata.

Siamo proprio alla frutta.

280 giorni. Passati così. Ricordo ancora tutto. L’ultimo spritz prima della première milanese di Cenerentola. Io, distrutta, poi ho capito il perché. Quel test del 18 febbraio prima del bagnetto di Poussinou. La nostra prima cena con la consapevolezza che saremmo diventati quattro. Ricordo il ripetermelo: quattro. Come se fosse un numero strano. Le risate improvvise. Ricordo le nausee e la stanchezza massacrante.

Ricordo quella sera durante la fashion week. Ricordo sangue e lacrime. Una corsa al pronto soccorso. Ricordo quell’infermiera che mi rispose “oh, demonio!” (quella mi sa che non la dimentico più).

Ricordo una stanza fredda e un’ecografia. “Il battito ancora c’è“. “Quindi va bene vero? andrà avanti?” “questo non sappiamo signora. Forse sì, forse no“.

Ricordo il divano per giorni. Ricordo tv, noia e malinconia.

Ricordo quella visita con una pallina al ventre.

Va tutto bene“.

Ricordo poi aspettare di vedere quella pancia prendere forma. Indossare le righe ad oltranza per sottolinearla meglio.

Ricordo la traslucenza nucale. Ricordo le parole del ginecologo “ed è proprio maschio“.

Ricordo il crollo, le lacrime e la rabbia per quella settimana durata un’eternità.

Ricordo le discussioni con Lui, ma anche amore e aiuto.

Ricordo quel post. Quello che fino ad ora sento più mio in assoluto. Ma ricordo soprattutto i commenti, i messaggi, il sostegno e quel calore che non mi sarei potuta aspettare.

Ricordo anche le critiche di chi non ha capito e forse ancora non vuole capire.

Ricordo le visite nei vari showroom, e quel lento ma sereno innamoramento con le collezioni da maschietto.

Ricordo poi quel pomeriggio da Gap. Una magliettina mini mini e una camicia di jeans. Ricordo quel sorriso dentro e quelle due paroline nella mia mente: mio figlio

Ricordo quella sensazione di sfida. Di forza. E poi di felicità.

Ricordo come ci si sente quando bisogna mettersi in discussione. Una terapia vera e propria. Una rinascita.

Ricordo i bruciori allo stomaco. E poi i primi movimenti. Ricordo le onde e il singhiozzo.

Ricordo poi i preparativi. Le prime tutine, LA sua prima tutina. Il lettino, le copertine. Ricordo l’approccio al “mondo del maschio“, questo sconosciuto.

Ricordo quei piedi che sparirono pian piano (i miei), e quelli  che si facevano sentire sempre più (i suoi). Ricordo quella strana sensazione. Quella di conoscerlo già, e nel frattempo quella sensazione di ignoto,  con una gravidanza così diversa dalla prima.

Ricordo la curva glicemica e quel verdetto: “oh c’è un po’ di diabete!”

Ricordo l’ennesima sfi g da. “Signora, dieta ferrea”. Ma in gravidanza mica si deve mangiare per due?

Ricordo poi l’estate. La pancia che sboccia. Che galleggia. Ricordo l’immergersi nel mare e sentirsi di nuovo leggera.

E poi il rientro. La consapevolezza che “ormai manca poco” e la nostalgia di tutti quei mesi. La voglia di vederlo, di toccarlo, di stringerlo, mischiata a quella di tenermelo ancora un po’, solo per me.

Ricordo l’ansia per il tempo che scorre. Gli ultimi preparativi, la check list e la borsa dell’ospedale.

Gli ultimi esami, gli appuntamenti. Quella sensazione che “ora si fa sul serio“. Ora non si scherza più.

Domani è già ora.

Due cento ottanta giorni. E me li ricordo tutti.

 

 

 

 

 

 

By elise, 24 Settembre 2015
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